Il sistema antroponimico a Pisa tra XI e XIII secolo: la città e il territorio *

di Enrica Salvatori

 

Prima parte

Fonti e metodologie (indice)

Il presente studio si propone di indagare l'evoluzione delle forme antroponimiche nella città di Pisa tra XI e XIII secolo, ovvero di scoprire, tramite l'analisi della documentazione coeva, la prima comparsa di una qualsiasi forma di cognome, le principali linee di tendenza del suo progressivo affermarsi a sistema. Le fonti prescelte per questa indagine sono state: il tradizionale fondo monastico pergamenaceo, capace di fornire dati analizzabili diacronicamente, e due liste di nominativi duecentesche, che hanno consentito uno sguardo sincronico al quadro antroponimico offerto dalla città. Le pergamene sono state tratte dal fondo archivistico del monastero camaldolese di S. Michele in Borgo, fondato nei primi anni dell'XI secolo nell'immediato suburbio della Pisa altomedievale (1). Il fondo è uno dei più ricchi ed antichi dell'Archivio di Stato di Pisa e raccoglie per lo più documenti privati inerenti ai beni fondiari del monastero, estesi in area urbana, suburbana e in contado. Gli atti di questo fondo sono stati pubblicati solo parzialmente, ma sono però stati editi, insieme agli altri del Diplomatico dell'Archivio di Stato, in una serie di tesi di laurea conservate presso il Dipartimento di Medievistica dell'Università di Pisa (2). Il periodo cronologico coperto da queste edizioni parte dagli inizi del secolo XI ed arriva fino al secondo decennio del Duecento. In tutto sono stati considerati 193 documenti editi per un totale di oltre 2000 attestazioni antroponimiche. I dati provenienti dallo spoglio di questo fondo monastico sono stati collegati e confrontati con quelli forniti dal giuramento dei Pisani all'alleanza con Siena, Pistoia e Poggibonsi del 1228 (3) ed infine con la lista dei membri del consiglio generale cittadino nel 1256 (4). Descriverò più oltre le caratteristiche di questi due ultimi documenti: basti per ora dire che essi consentono di vedere la situazione antroponimica a Pisa in due momenti determinati e in fonti diverse da quelle usate per l'analisi diacronica. Si tratta infatti di documenti pubblici dalle precise funzioni e caratteristiche, che mostrano, riguardo al sistema di denominazione degli individui, una pratica notarile diversa.

Come già specificato dall'introduzione al volume (5), la metodologia applicata è, in massima parte, quella utilizzata da Monique Bourin e dalla sua equipe nel volume Genèse Médiévale de l'anthroponymie moderne (6). Tuttavia, sebbene la classificazione delle forme antroponimiche proposta dalla Bourin sia stata successivamente modificata e adattata alle fonti italiane in una serie di riunioni e seminari svoltisi nel triennio 1990-1993 (7), ogni singola realtà indagata presenta sfumature e caratteristiche sue proprie, che spesso risultano difficilmente inscrivibili all'interno di una griglia precostituita. In questo senso Pisa non ha fatto eccezione e di fronte alle discrepanze tra fonti e modello ho optato talvolta per la creazione di un'ulteriore articolazione tipologica (8), talaltra per l'uso forzato di una delle categorie della Bourin (9). In aggiunta a queste modifiche, che verranno segnalate e motivate di volta in volta, sono però necessarie anche alcune precisazioni di carattere generale.

1) Il modello generale della ricerca avrebbe previsto il confronto tra il sistema antroponimico utilizzato dall'aristocrazia con quello di più larga diffusione sociale; alla stessa maniera si sarebbe dovuto distinguere tra mondo urbano e ambito rurale per valutare possibili differenze e scarti cronologici nella diffusione del cognome. Questi obiettivi non sono stati raggiunti: non è stato possibile distinguere tra nobili e non nobili e tra cittadini e abitanti della campagna. Se si eccettua la famiglia pisana dei Visconti, per la quale il titolo viene comunque espresso, la forma antroponimica usata per indicare i personaggi appartenenti all'aristocrazia consolare è spesso identica a quella usata in tutti gli altri casi (10). A riprova si possono confrontare i numerosi studi esistenti sulle famiglie del ceto dirigente pisano. Questi infatti rendono abbastanza agevole, specialmente per l'XI secolo, riconoscere nell'autore di un particolare atto il membro di una famiglia dell'aristocrazia cittadina (11). In questo modo è possibile ad esempio riconoscere in tale Eritius filius quondam Enrighi il membro della importante famiglia degli Erizi, anche se nulla nella forma antroponimica ne fa sospettare l'appartenenza a un ceto privilegiato. L'uso del titolo di dominus è infatti scarsissimo nei secoli X-XII, mentre risulta un poco più diffuso nel XIII secolo. Nel Duecento, però, seppure l'uso del termine dominus qualifichi socialmente il nominativo che lo possiede, la sua assenza non comporta la non appartenenza al ceto nobiliare (12).

Per quanto riguarda la distinzione tra cittadini e rustici, ossia tra abitanti della città e della campagna, un personaggio non è quasi mai qualificato dalla dicitura habitator in civitate pisana o civis pisanus, il che rende impossibile ogni selezione.

2) All'inizio del lavoro di spoglio ho cercato di distinguere tra autori degli atti, testimoni e confinanti. Col procedere della schedatura e dell'analisi, una tale distinzione si è rivelata inutile. L'unica cosa che a questo proposito si deve notare e sottolineare è che gli autori sono di norma individuati da precisazioni di carattere familiare: viene cioè sempre detto di chi sono figli o parenti. Questo riferimento può invece non riguardare di necessità i testimoni e soprattutto i confinanti, che compaiono anche nella forma a nome unico (tipo I).

3) Notai, giudici ed ecclesiastici hanno sempre la professione espressa: questo comporta il fatto che alla forma IIb (nome + indicazione professionale) corrisponde quasi inevitabilmente, almeno fino alla metà del XII secolo, o un prete o un giurista. Per questa ragione nel computo statistico vero e proprio ho escluso tutti gli ecclesiastici, e i notai e i giudici presenti nell'atto nell'esercizio delle loro funzioni. Queste categorie tuttavia non sono state semplicemente eliminate, ma estrapolate e studiate a parte. Simile discorso vale per i nomi femminili. Quindi, prima di analizzare in dettaglio l'evoluzione dell'antroponimia maschile per il periodo indicato, si spenda qualche parola sulle categorie escluse.

Gli ecclesiastici (indice)

I membri del clero, regolare e secolare, sono rappresentati nella stragrande maggioranza dei casi dalla forma antroponimica IIb: Petrus abbas, Ugo presbiter, Iohannes monacus, etc. All'interno di questa categoria si deve fare però una certa attenzione alle attestazioni che precedono i primi decenni del XII secolo. Prima di questa data, infatti, si trovano più di frequente ecclesiastici che agiscono a titolo personale, come autori di atti di compravendita, permuta, etc. Questi hanno spesso una forma antroponimica diversa che unisce alla forma IIb la IIa (IIab), ovvero in cui compaiono sia la professione esercitata, sia la dichiarazione di parentela [es.: Petrus presbiter filius Ughi (13)]. Dopo la metà del secolo XII è estremamente difficile trovare ecclesiastici che acquistano o vendono beni privatamente: in genere essi agiscono per conto dell'ente a cui appartengono e in questo caso sono sempre, o quasi sempre, espressi semplicemente dalla forma IIb.

I giudici e i notai (indice)

Le considerazioni fatte per gli ecclesiastici valgono sostanzialmente anche per i giudici e i notai. Come già specificato, ho escluso dal computo statistico i notai redattori dell'atto e i giudici che garantiscono il libero agire delle donne, presenti nel documento come autrici di donazioni e/o compravendite. In tutti gli altri casi, ovvero quando giudici e notai compaiono come autori di negozi giuridici, o testimoni, o fideiussori, o ancora proprietari di terreni confinanti con l'appezzamento oggetto del contratto, la forma più usata è quella IIb, ovvero nome e indicazione professionale. Compare però, tra i notai che contemporaneamente sono anche autori di un particolare negozio giuridico, anche la forma che unisce all'indicazione della professione la relazione di parentela (14). In ogni caso la dicitura iudex e notarius è in genere più che sufficiente per identificare la persona, anzi direi che tali professioni sono talmente importanti e qualificanti da venir espresse anche quando non si riferiscono all'individuo, attore o testimone che sia, ma al proprio padre. Si ha così Eritio filius bone memorie Enrighi qui fuit iudex, oppure Opitho filius bone memorie Cuniti qui fuit notarius (15). Interessante a questo proposito un'attestazione piuttosto complessa e di assai difficile catalogazione del 1032: Gosbertus iudex domni imperatoris qui Bonitio vocatur, filius bone memorie Iohannis, qui fuit item iudex domni imperatoris, qui Lamberto vocabatur (16). La formula decisamente articolata denuncia la presenza di soprannomi stabili e universalmente riconosciuti, che però, limitatamente all'esigenza di denominazione e quindi di individuazione della persona, risultano subalterni alla qualifica professionale, espressa sia per l'individuo considerato in prima istanza che per il padre. Un'ulteriore prova antroponimica del rilievo sociale della professione giuridica si incontra nelle ripetizioni dei nominativi all'interno del medesimo atto. Infatti, quando nel corso del documento viene riscritto il nome dell'autore, o di un altro personaggio già citato, nel caso che questi sia un notaio o un giudice si ripete quasi sempre anche la qualifica professionale. Il fenomeno non si verifica invece negli altri casi, dove il riferimento ad un individuo già nominato è costituito dal semplice nome proprio (17). Per quanto riguarda notai e giudici che agiscono nelle loro funzioni all'interno del documento, la quasi totalità delle attestazioni sono di forma IIb. Verso gli anni '70 del XII secolo questi personaggi cominciano a essere attestati anche nella forma antroponimica a due elementi -nome e "cognome"-, accompagnata ovviamente dalla qualifica professionale: Ildebrando de Usiliano domini Frederici imperatoris notarius; Ildebrandus Galitii iudex et notarius (18).

Le donne (indice)

Le esponenti del sesso femminile compaiono nei documenti piuttosto raramente, per lo più come autrici, molto spesso in compagnia del marito e assai raramente sole. Alcune sono oggetto di vendita, come è capitato alla serva Bellula, nata in Corsica, e in quel caso presentano la forma del nome unico (tipo I). Nell'intero arco cronologico preso in considerazione non emerge alcuna evoluzione nelle forme antroponimiche femminili che appartengono sempre alla forma IIa (nome + indicazione di parentela). Questa lega il nome della donna a quello del marito o del padre, spesso a entrambi: Sophia iugalis Martini et filia Belli (19). La monotonia del sistema di denominazione femminile - è cosa nota - è in gran parte dovuta all'inferiore condizione giuridica della donna, che obbliga il notaio ad esprimere sempre i suoi riferimenti maschili più prossimi, ovvero il marito e il padre (20). Tra tutte le attestazioni compare un solo esempio di soprannome: Teutia que Carissima vocatur filia bone memorie Godini (21). Un particolare curioso: le donne sono gli unici personaggi a essere destinatari di appellativi affettuosi. Si incontrano, ad esempio, Ermellina, dilecta filia e Benedicta, dilecta et amabilis coniux (22): quanto incidesse tutto questo nella vita quotidiana di Ermellina e Benedetta lo possiamo soltanto immaginare.

Le forme antroponimiche maschili (indice)

Estrapolate le categorie del clero, dei giudici e notai e delle donne, passiamo ora ad esaminare l'evoluzione delle forme antroponimiche maschili nel periodo studiato. Nel grafico 1 si può vedere l'incidenza dei diversi modelli di denominazione col variare dei lustri: si è raffigurato l'andamento di ogni forma antroponimica e si sono messe a confronto la linea costituita dall'unione delle due forme semplici (I e II) e quella che esprime le denominazioni a due o più elementi (III e IV). Le tranches cronologiche sono venticinquennali e sono comprensive del quarto di secolo precedente (23). Come si osserva chiaramente dal grafico, la forma a nome unico (I) cala decisamene nel corso del secolo XI per poi essere sostanzialmente poco utilizzata, ma non abbandonata, nei periodi seguenti. Su tutti modelli è nettamente predominante il tipo II, caratterizzato - lo ricordo - dal nome proprio unito a una indicazione complementare (es.: Ugo filius Martini)(24). Questo comincia a scemare dal primo venticinquennio del XII secolo, mentre contemporaneamente inizia ad aumentare di frequenza la forma a due elementi (es.: Ugo Martini). La chiave di volta, ovvero il momento in cui sembra cominciare a diffondersi l'uso di una forma di cognominazione, si può quindi individuare nel principio del secolo XII. Il processo di affermazione del sistema antroponimico a due elementi sembra, però, procedere lentamente per tutto il XII e il primo ventennio del secolo XIII. Le linee di sviluppo di queste due forme, infatti, per quanto destinate a incrociarsi e a proseguire l'una verso il calo, l'altra verso l'aumento, si dispongono per un lungo tratto su direttrici parallele, in una sorta di equilibrio tra il vecchio sistema di denominazione e la forma antroponimica moderna. Nella prima metà del Duecento siamo ancora lontani dalla netta predominanza dell'una sull'altro e questa compresenza di sistemi antroponimici verrà confermata dallo studio della lista di giurati pisani del 1228.

Emilio Cristiani, in margine al suo famoso studio su Nobiltà e Popolo nel Comune di Pisa, aveva già notato come "la formazione del casato o cognome in Pisa, o più generalmente in Toscana, vada posta tutt'al più nella seconda metà del XIII secolo, con la sola eccezione delle famiglie di nobile lignaggio, per le quali effettivamente si può risalire anche più indietro" (25). I dati appena presentati confermano sostanzialmente l'opinione dell'illustre studioso, ma vi apportano anche qualche precisazione ed ulteriore considerazione. Innanzitutto, nella seconda metà del Duecento, si assiste non tanto alla "formazione" del cognome, quanto semplicemente al suo definitivo affermarsi sul sistema antroponimico precedente, a conclusione di un processo che muove i suoi primi passi all'inizio del secolo XII. Il periodo compreso tra la metà del XII e la metà del secolo seguente sembra poi caratterizzarsi come un vero e proprio "laboratorio" in cui vengono ideate, sperimentate, mantenute ed abbandonate forme di denominazione diverse, tese soprattutto a identificare con sicurezza il singolo individuo e, solo in seconda istanza, a collegarlo ad un preciso lignaggio. Tutto questo emerge con maggiore chiarezza da uno sguardo un poco più approfondito ai diversi modelli antroponimici considerati nel grafico.

Per quanto riguarda il modello di denominazione di tipo II si può dire che, nella stragrande maggioranza dei casi, l'indicazione complementare che accompagna il nome proprio è caratterizzata dal riferimento alla parentela paterna o materna (forma IIa); sono infatti piuttosto rare le attestazioni di altri legami familiari (26) e di soprannomi (es.: Ugo, Buttaro vocatur). Una certa rilevanza assume invece la forma chiamata convenzionalmente IIb, caratterizzata dal nome proprio unito a una specificazione professionale (es: Ugo textor). Il grafico 2 ne illustra l'incidenza rispetto al modello IIa: va notato che i dati relativi al secolo XI riguardano quasi esclusivamente giudici e notai, i cui nomi, lo ripeto, venivano s e m p r e accompagnati dall'indicazione della professione esercitata (27). A partire dalla metà del secolo seguente sono invece attestate anche altre professioni (artigiani e commercianti) in una proporzione progressivamente crescente.

Il relativo moltiplicarsi delle indicazioni di mestiere in sostituzione al normale riferimento di parentela - dato che sarà ulteriormente confermato dal confronto con la lista di giurati del 1228 - rappresenta a mio avviso una traccia di quelle sperimentazioni antroponimiche prima accennate. Nel sforzo di evitare ogni possibile confusione sulle persone coinvolte in un determinato atto giuridico si persegue, tra le altre, anche la strada del riferimento al mestiere, alla professione esercitata, al ruolo giocato dal singolo nella società in cui vive. Si tratta però di un percorso senza sbocco. Utile per la distinzione e identificazione del singolo, l'indicazione di mestiere non riesce infatti ad imporsi e ad assurgere a sistema. La seguente analisi delle diverse forme di cognominatio attestate mostra, infatti, che la qualifica professionale non viene quasi mai trasmessa di generazione in generazione, ovvero riesce assai raramente a trasformarsi in nome di famiglia.

Il grafico 3 esprime la composizione interna del modello a due elementi a partire dal periodo in cui esso comincia ad essere attestato con maggiore frequenza. Qualifichiamo meglio le caratteristiche delle singole forme: la IIIa è quella che comprende i nomina paterna o patronimici (es.: Ugo Martini); la IIIb contiene i "cognomi" derivati dai mestieri (es.: Martinus Textoris); la IIIc è quella in cui il secondo elemento è caratterizzato da una sorta di soprannome (es.: Francardus Moccus, Petrus Ingannamagius); infine la IIId raccoglie i cognomi derivanti da indicazioni di luogo (es.: Rainieri de Perlascio, Bernardus de Cascina).

Si vede con chiarezza che nel sistema di denominazione a due elementi si afferma sempre più la forma dei nomina paterna, fino a raggiungere e superare la soglia del 50% tra la metà del XII secolo e i primi decenni del Duecento. Risulta invece inversamente proporzionale la frequenza dei soprannomi (IIIc), che, numerosi nella prima metà del XII secolo, vanno via via diminuendo negli anni seguenti. Anche in questo caso, come per l'indicazione di mestiere, è probabile che i soprannomi posti accanto ai nomi propri siano soprattutto funzionali al riconoscimento del singolo e che solo in un secondo tempo, e solo parzialmente, riescano ad affermarsi come cognome (28). Per quanto riguarda la forma chiamata IIId, dove il secondo elemento è costituito da un'indicazione di luogo, il dato si mantiene stabilmente sul valore del 20% fino alla fine del XII secolo per poi aumentare improvvisamente nei primi decenni del Duecento. La rapida crescita di frequenza di queste denominazioni indurrebbe a cercare un facile collegamento con la questione dell'inurbamento e dell'afflusso di popolazione dal contado e dalle regioni confinanti. La relazione certamente esiste, ma su questo punto sarei propensa ad un approccio estremamente prudente e problematico, per diversi ordini di ragioni. Il primo è di carattere metodologico: i dati relativi ai primi decenni del XIII secolo sono numericamente ridotti rispetto a quelli presi in considerazione per i periodi precedenti e quindi dotati di una minore attendibilità (29). In secondo luogo è già stato notato come le indicazioni di provenienza non siano traccia sicura di un inurbamento recente, ma che spesso siano da ascrivere ai genitori o ad altri ascendenti dell'individuo così nominato (30). In sostanza, i riferimenti antroponimici ai luoghi e paesi del contado hanno una relazione con il problema dell'inurbamento che è ancora tutta da valutare e che necessita di un spoglio documentario decisamente più ampio e mirato di quello che è stato condotto in questa ricerca.

I dati appena presentati forniscono alcune indicazioni, seppure molto generali, sui meccanismi che hanno regolato la costruzione del cognome. Sviluppatosi probabilmente per rispondere soprattutto ad un'esigenza di individuazione della persona, il cognomen, ovvero il nome che si aggiunge a quello personale apportandogli un'ulteriore specificazione, viene in origine ricavato da diverse fonti: le caratteristiche fisiche o morali, la provenienza da un particolare luogo della città o dei dintorni, il nome del padre o dell'antenato e, in misura molto minore, il mestiere. Col precisarsi e determinarsi delle strutture familiari e col contemporaneo emergere dell'esigenza di legare saldamente l'individuo al gruppo familiare di appartenenza, si comincia a diffondere, fin dalla metà del XII secolo, l'uso di trasmettere tale cognomen di padre in figlio, di generazione in generazione. In questo processo, né rapido né lineare, viene indiscutibilmente privilegiato il nome dell'antenato posto in forma genitiva, ovvero il patronimico. L'uso del patronimico, infatti, sopravanza progressivamente e nettamente gli altri metodi di denominazione, i quali vengono parzialmente abbandonati o, nel caso del soprannome, trasformati anch'essi in patronimici (es.: Ebriaci, Porcellini).

Questo il dato generale. Se però si tenta di analizzare un poco più da vicino la formazione e stabilizzazione del cognome, le cose si fanno complicate. Rimane sostanzialmente disattesa una delle questioni fondamentali, ovvero se l'uso del patronimico si diffonda, o meno, dall'alto per emulazione di un fenomeno che riguarda, prima di tutto, le grandi famiglie dell'aristocrazia consolare. Tra i tanti nomi schedati, però, è possibile cogliere qualche indicazione che possa contribuire un poco a chiarire questo punto. Per quanto riguarda i membri delle famiglie aristocratiche, o comunque i personaggi che mostrano di frequentare maggiormente le alte cariche comunali, indubbiamente essi presentano spesso una forma di cognominazione che talvolta viene trasmessa ereditariamente. Così Martinus a la Barba vocatur, attestato nel 1110, trasmette a suo figlio Marignano il soprannome a la Barba, il quale, probabilmente, lo cede a sua volta al figlio Bonaccorso (31). Medesimo discorso vale anche per le famiglie dei Familiati o dei de Mercato, i cui membri esercitano la professione giuridica e coprono ripetutamente incarichi pubblici (32). Di fronte però a queste famiglie di elevato livello sociale presentano una forma di cognominazione anche altri personaggi che aristocratici non sono e che non occupano cariche istituzionali: si incontrano così nel 1147 Bernardo Scarafagio filius quondam Bernardi Scarafagii (33), nel 1154 Ianni Paliozi filus Gerardi Paliozi (34), nel 1164 Martini Biscii quondam Biscii (35), nel 1185 Henrici Gelsi quondam Gerardi Gelsi (36) ed infine Bonfilius Pilatus filius quondam Leonis similiter Pilati. Costui è attestato la prima volta nel 1124 come Bonfilius quondam Leonis e in seguito con la denominazione Bonfilius Pilatus, accompagnata talvolta dall'indicazione del padre, anch'egli Pilatus (37). Risale al 1153 un documento in cui, oltre a Bonfilio, sono presenti un nipote e due fratelli, di cui uno, Benenato, presenta il medesimo cognomen (38). Certamente a fronte di questi esempi ve ne sono molti altri in cui la presenza di un nome aggiuntivo non è affatto identificabile come una forma di cognome (39): resta però il fatto che, per quanto rari, questi casi siano attestati e che indichino la diffusione di un nuovo sistema antroponimico anche nei bassi strati della popolazione, contemporaneamente a quanto avviene per i livelli superiori della società (40).

Gli esempi di denominazione appena proposti sono stati comunque schedati a parte, entro una forma che, non ritrovandola nella già citata griglia di modelli antroponimici, ho chiamato III complessa. Questa comprende tutti i nomi riconducibili al sistema a due elementi, che però presentano anche il riferimento alla parentela o al mestiere: ad esempio Ribaldus de Montemagno quondam Gerardi, Gratiani Ricci iudex, Henrici Gelsi quondam Gerardi Gelsi (41). Si tratta evidentemente di una forma mista, in cui, nell'intento di individuazione della persona, vengono contemporaneamente utilizzate indicazioni diverse: patronimico, provenienza, mestiere, parentela. La frequenza di questa modalità di denominazione, discretamente attestata nella prima metà del secolo XII, diminuisce progressivamente nei periodi seguenti. Nel 1228, come si vedrà, essa non supera il 3% del totale: probabilmente l'espressione del legame familiare, sentita come necessaria più dalla pratica notarile che dall'uso comune e dalla lingua parlata, viene avvertita sempre più come accessoria, marginale, superata anche nel testo scritto. Con il progressivo affermarsi del sistema di denominazione a due elementi e col diffondersi della pratica di trasmissione ereditaria del nome di famiglia, si avverte con sempre minore urgenza il problema della sicura identificazione degli individui e quindi si abbandonano le varie indicazioni aggiuntive che in passato avevano accompagnato il nome proprio.

Le liste di nomi (indice)

La schedatura dei nomi presenti nei documenti notarili di XII e XIII secolo ha consentito di valutare la prima diffusione del cognome in rapporto al sistema di denominazione a nome unico, che predomina per tutto l'alto medioevo e resiste ben oltre l'anno mille, fino ai primi decenni del Duecento. Nell'attesa di concludere lo spoglio della documentazione duecentesca (42), ho voluto lanciare un rapido sguardo oltre questo limite confrontando i dati finora ottenuti con quelli ricavati da altri due documenti di genere profondamente diverso: due liste di nominativi del 1228 e del 1256. La prima lista è costituita dai cittadini pisani che giurano, nel 1228, la pace con Siena, Pistoia e Poggibonsi: è un elenco di ben 4300 nominativi divisi in 82 gruppi, di cui 78 sono relativi alle cappelle cittadine (43). Dal testo degli accordi stipulati dalle quattro città toscane si viene a sapere che erano tenuti a giurare tutti gli uomini compresi tra i 20 e i 70 anni. Pur supponendo che non abbia partecipato la totalità dei cittadini maschi (44), si tratta ugualmente di un campione altamente significativo della popolazione pisana duecentesca e, per l'analisi che interessa, di un ricco serbatoio di nomi e di forme antroponimiche. La seconda lista è invece numericamente minore e comprende i nomi di 327 cittadini, eletti nel consiglio generale, che affiancarono gli Anziani nella ratifica degli accordi con Firenze del 1256 (45). Nel valutare quest'ultimo documento dal punto di vista delle forme antroponimiche, si deve tenere presente che si tratta di un elenco più incompleto e parziale del precedente, anche se pur sempre rappresentativo di una buona porzione della popolazione (46). Vediamo comunque i dati e il grafico relativo: per quanto riguarda il giuramento del 1228 la forma antroponimica più usata è quella a due elementi (III: 40,05%), che però è seguita a ruota dalla IIb (34,43%) e dal modello a nome unico (I: 24,82%), che insieme coprono più del 59% delle attestazioni; sono quasi inesistenti le forme complesse (47). Sono percentuali che trovano un facile collegamento con quanto era già emerso dall'analisi precedente e che confermano sostanzialmente il lento diffondersi il sistema di denominazione a due elementi, il contemporaneo sussistere di diversi modelli antroponimici. Nel 1228 l'uso del cognome non è ancora definitivamente affermato, tanto da essere superato, in percentuale, dalle forme antroponimiche più semplici (48). Come si vede dal grafico 5, circa un trentennio più tardi le proporzioni mutano radicalmente: su 327 attestazioni i nomi unici sono soltanto 2 e quelli accompagnati dalla sola indicazione di parentela (forma II) coprono appena il 14% del totale. Al contrario il sistema a due elementi sembra ormai dominare praticamente incontrastato, almeno tra i rappresentanti del consiglio cittadino.

Quanto è attendibile e rappresentativo il quadro offerto dal documento del 1256? Un ipotetico elenco dell'intera cittadinanza abbasserebbe certamente l'alta percentuale delle forme cognominali attestate (84 = 71%), ma non credo che la renderebbe minoritaria rispetto all'incidenza del nome unico. Possiamo allora veramente individuare nella metà del Duecento il periodo in cui l'uso del cognome si diffonde maggiormente tra la popolazione fino a soppiantare l'antico sistema? Prima di rispondere positivamente andrebbero effettuati diversi sondaggi e almeno due ulteriori controlli. Innanzitutto si dovrebbe operare un confronto tra queste fonti e la documentazione privata duecentesca, per valutare identità e differenze e per apprezzare possibilmente le tappe di questa diffusione. In secondo luogo - operazione ben più difficile - si dovrebbe verificare se e in che misura le forme cognominali attestate nel 1256 rappresentino davvero dei nomi di famiglia, trasmessi di generazione in generazione. La presenza di doppi patronimici [es.: Iacobus Ugolini Contilde o Leopardus Bonaccorsi Boncristiani (49)], di altre forme complesse [es.: Iohannes Cicogninus de Balneo o Iacobus Gaitane de Ghinçica (50)] e dell'uso di diverse denominazioni per membri del medesimo gruppo familiare (51) sono tutti indizi che il processo di formazione e soprattutto di formalizzazione e stabilizzazione del cognome è ancora lontano dal concludersi. In sostanza, per quanto sia diffuso l'uso del sistema antroponimico a due elementi, ancora per tutto il Duecento non è garantita la corrispondenza biunivoca tra il possesso di un cognome e l'appartenenza a una determinata famiglia (52).

In ogni caso, al di là della peculiarità e complessità di singoli fenomeni e degli scarti cronologici, nel processo di formazione del cognome si possono individuare alcune linee guida. Come sostiene Pierre Toubert, i relativi meccanismi linguistici "erano scattati fin dagli ultimi anni del secolo XII (53)". E' in questo periodo, infatti, che si determinano le principali tipologie di cognome, le quali non subiscono sostanziali modifiche e innovazioni nei decenni seguenti. Come si osserva dal grafico 6, l'analisi comparata della composizione interna della forma a due elementi (III) mostra persistenze sorprendenti: la maggior parte dei "cognomi" è sempre costituita dal patronimico, mentre le forme cognominali derivanti da località e da soprannomi hanno un'attestazione minoritaria, ma generalmente valutabile nell'ordine del 20%.

Per concludere questa serie di considerazioni, vorrei spendere qualche parola sulla effettiva confrontabilità delle diverse fonti che sono state esaminate. In particolare vorrei cercare il motivo di alcune differenze che sono emerse dal confronto tra i nomi contenuti negli atti notarili e la lista di giurati del 1228. Nel grafico 7 è stato fatto un confronto diretto tra i dati forniti dalle pergamene del fondo monastico e quelli tratti dall'elenco duecentesco (54). A un primo sguardo i valori sembrano differire vistosamente: maggiore l'incidenza del nome unico; diversa la qualità della forma II. Se però si guarda con maggiore attenzione, si nota che la porzione relativa alla forma II del XII secolo si rispecchia sostanzialmente nell'insieme delle forme IIb e I del 1228. In sostanza al riferimento alla parentela, predominante negli atti notarili, corrisponde, nel 1228, l'indicazione del mestiere e l'uso del semplice nome proprio. Ricordo che nel lungo elenco duecentesco i giurati spesso sono individuati dal nome proprio seguito da una sorta di cognome o p p u r e dalla professione esercitata (55). L'analisi numerica, oltre che la semplice lettura della lunga lista, fornisce la fondata impressione che la forma IIb (nome proprio + mestiere) sia usata i n a l t e r n a t i v a alle altre forme allo scopo di riconoscere e individuare il giurato. Questa diversità nella espressione delle forme antroponimiche semplici deriva, a mio avviso, proprio dalla differente qualità delle fonti. Negli atti notarili di compravendita, affitto o testamento risulta maggioritaria la forma di denominazione IIa (nome + indicazione di parentela) perché, trattandosi di questioni patrimoniali, è essenziale per il notaio esprimere con precisione l'identità dei contraenti, soprattutto in relazione alle ascendenze familiari e alle altre relazioni di parentela che li riguardano. Non così per la lista di giurati del 1228 dove è minore il filtro notarile e dove i nomi forse rispecchiano più da vicino la pratica antroponimica corrente e parlata.

 

Note

* Si presentano due testi già pubblicati in "Mélanges de l'École Française de Rome. Moyen Age-Temps Modernes", 106/2 (1994), pp. 487-507 (che corrisponde sotanzialmente alla prima parte) e 107/2 (1995), pp. 427-466 (seconda parte), qui uniti, adattati e modificati in maniera ipertestuale. (su)

(1) Per la nascita e la posizione topografica di S. Michele in Borgo si veda G. Garzella, Pisa com'era: topografia e insediamento, Napoli, GISEM Liguori, 1990, pp. 30-32, 68-71.

(2) Sono andati a stampa i documenti fino al 1100: Le carte dell'Archivio di Stato di Pisa, 1 (780-1070), a cura di M. D'Alessandro Nannipieri, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1978 (Thesaurus Ecclesiarum Italiae VII, 9); Le carte dell'Archivio di Stato di Pisa, 2 (1070-1100), a cura di M.L. Sirolla, Pisa, Pacini, 1990. Le tesi di laurea, tutte depositate presso il dipatimento di medievistica, sono state presentate sotto la direzione del prof. O. Bertolini fino al 1964, poi sotto la direzione del prof. C. Violante: M. Nannipieri, I più antichi documenti dell'Archivio di Stato di Pisa fino al 23/05/1084, a.a. 1960-61; F. Tamburini, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1081 aprile 25 al 1099 marzo, a.a. 1964-65; M. Guastini, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1110 al 1115, a.a. 1964-65; R. Nardi, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dall'8 novembre 1115 al 13 febbraio 1130, a.a. 1964-65; G. Viviani, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa 18 giugno del 1129 all'8 febbraio del 1145, a.a. 1964-1965; S. Caroti, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1145 al 1155-58, a.a. 1965-66; A. Giusti, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa del 1157 al 1165, a.a. 1167-68; L. Cortesini, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1165 al 1172, a.a. 1964-65; B. Carmignani, Le pergamene dell' Archivio di Stato di Pisa dal 1172 al 1175, a.a. 1965-66; L. Benedetti, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1175 al 1179, a.a. 1965-66; B. Pellegrini, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1179 al 1184, a.a. 1965-66; M.L. Blanda, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1184 al 1188, a.a. 1966-67; M.D. Casalini, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1188 al 1192, a.a. 1966-67; G.M. Dolo, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1192 al 1196, a.a. 1967-68; M.T. Alampi, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1195 al 1198, a.a. 1967-68; De Paola M.P., Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1198 al 1201, a.a. 1966-67; F. Nuti, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1201 al 1204, a.a. 1965-66; A. Pirrone, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1204 al 1208, a.a. 1965-66; M.L. Ricci, Le pergamene dell'Archivio di Stato di Pisa dal 1208 al 1213, a.a. 1980-81, rel. S.P.P. Scalfati. Un aggiornamento bibliografico sulle fonti pisane si può trovare on line all'indirizzo <http://www.humnet.unipi.it/biblio.htm>.

(3) Il Caleffo Vecchio del Comune di Siena, a cura di G. Cecchini, I, Siena, 1931 (Istituto comunale di arte e di storia. Fonti di storia senese), pp. 364-388. L'elenco dei giurati pisani è stato ripubblicato da Enrica Salvatori, La popolazione pisana nel Duecento. Il patto di alleanza di Pisa con Siena, Pistoria e Poggibonsi del 1228, Pisa: GISEM - ETS, 1994 (Pi.Bi.Gi., 5) e si trova anche on line all'indirizzo http://www.lib.byu.edu/~rdh/eurodocs/italia/pisani.html .

(4) Documenti sull'antica costituzione del Comune di Firenze, a cura di P. Santini, Firenze, 1952, n. 67, p. 146.

(5) Il volume delle "Mélanges de l'École Française de Rome. Moyen Age-Temps Modernes" (106/2 del 1994) dove è stato pubblicato originariamente questo saggio.

(6) I passaggio dal sistema di denominazione medievale a quello 'moderno' si ha quando il nome proprio non è più usato da solo o con l'accompagnamento di indicazioni varie (paternità, mestiere, provenienza), ma è composto almeno da due elementi, il secondo dei quali tende a svincolarsi dal significato originario e a trasmettersi di generazione in generazione. I metodi utilizzati per individuare questo passaggio attraverso la schedatura delle fonti seriali in area francese sono enunciati da M. Bourin e B. Chevalier, L'enquête: buts et méthodes, in Genèse médiévale de l'anthroponymie moderne, Tours, Publication de l'Université de Tours, 1989, pp. 7-12. Si vedano inoltre M. Bourin, Bilan de l'enquête de la Picardie au Portugal, l'apparition du système anthroponymique à deux éléments et ses nuances régionales, in Genèse médiévale, I, cit., pp. 233-246; Genèse médiévale de l'anthroponymie moderne, Persisteances du nom unique, Tome II-1, Le cas de la Bretagne. L'anthroponymie des clercs, Tome II-2, Désignation et anthroponymie des femmes. Méthodes statistiques puor l'anthroponymie, Tours, Publication de l'université de Tours, 1992. Il metodo di ricerca degli studiosi francesi si basa in sostanza su di una schedatura sistematica delle forme antroponimiche, presenti nei documenti notarili di XI-XIII secolo, secondo 4 tipologie predefinite con vartianti interne. Si consulti in proposito la tabella riassuntiva. Queste tipologie, dopo una parziale revisione, sono state utilizzate per estendere lo studio anche all'antroponimia medievale italiana. Il lavoro è stato condotto da una serie di studiosi di tutto il territorio nazionale, coordinati da François Menant e Rinaldo Comba.

(7) Ne sono stati coordinatori i professori François Menant e Rinaldo Comba.

(8) Così ad esempio per la forma che ho chiamato "III complessa" (Martinus Adami filius Guidi), per la quale si veda oltre.

(9) Così ad esempio ho considerato come forma a due elementi (III) le locuzioni del tipo Ugo filius Guidi Lanfranchi. Si veda la nota 24.

(10) La qualifica di Vicecomes, che accompagna diversi personaggi attestati dai documenti esaminati, mantiene nelle sue prime attestazioni il significato di carica istituzionale; dalla metà del secolo XII, invece, essa viene tramessa di generazione in generazione a semplice indicazione dell'appartenenza familiare, come una qualsiasi forma di cognome. Di conseguenza i Vicecomites attestati prima della metà del XII secolo sono stati considerati nella forma IIb (nome + indicazione complementare di carattere professionale); mentre quelli del periodo seguente sono stati contati nella forma IIIb (forma a due elementi di cui il secondo deriva da una caratteristica professionale). La distinzione si è resa ancor più necessaria dopo gli studi recentemente condotti da Mauro Ronzani sulla famiglia pisana dei Visconti e presentati in un seminario presso il Dipartimento di Medievistica dell'Università di Pisa. In questa sede Mauro Ronzani è giunto a ipotizzare l'esistenza, tra XI e XII secolo, di ben tre diverse famiglie pisane a cui, in tempi diversi, fu assegnata la carica viscontile. Per questa famiglia si vedano comunque M. Pratesi, I Visconti, in Pisa nei secoli XI e XII: formazione e caratteri di una classe di governo, Pisa, Pacini, 1979, pp. 1-62 e F. Ceccotti, Per la storia della classe dirigente del Comune di Pisa: la "Domus Vicecomitum" nei secoli XIII e prima metà XIV, tesi di laurea, a.a. 1977-78, conservata al Dipartimento di Medievistica dell'Università di Pisa. Un aggiornamento bibliografico si può comunque trovare on line all'indirizzo <http://www.humnet.unipi.it/biblio.htm>.

(11) Specialmente le ricerche condotte sotto la supervisione di Gabriella Rossetti: si veda Pisa nei secoli XI e XII, cit.

(12) Questo risulta chiarissimo dalla lista di nomi del 1228 dove molti appartenenti all'antica aristocrazia comunale non presentano affatto il titolo di dominus. Si veda la nota 3.

(13) Questa forma antroponimica si incontra in ben 13 attestazioni su 28 entro il 1120. Qualche esempio: Teuperto presbitero, que Teutio vocatur, filio bone memorie Imitie (Nannipieri, I più antichi documenti, cit., doc. 1007 aprile 15); Boniperto presbitero, que Bonio vocatur, filio bone memorie Petri (ivi, doc. 1018 maggio 26), Ugo diaconus filius bone memorie Pipini (ivi, doc. 1060 gennaio 22), Ugo filius Iohannis iudicis qui modo est monacus (ivi, 1078 agosto 22), etc.

(14) Ad esempio Vuillelmo notarius domini imperatori filius bone memorie Amalberti (ivi, doc. 1029 febbraio 23).

(15) Rispettivamente ivi, docc. 1046 febbraio 27 e 1063 maggio 1.

(16) Ivi, doc. 1032 luglio 31.

(17) Così il Vuillelmo notarius domini imperatori filius bone memorie Amalberti, che agisce nel 1029 (si veda la nota 14), nel corso del documento viene ricordato più volte, sempre come Vuillelmo notarius. Gli esempi sono comunque numerosi.

(18) Esempi tratti da Pellegrini, Le pergamene, cit., doc. 1180 e Nuti, Le pergamene, cit., doc. 1202 ottobre 10.

(19) Esempi innumerevoli, per quello citato vedi Viviani, Le pergamene, cit., doc. 1137 giugno 15.

(20) In genere marito e padre compaiono sempre in quest'ordine, anche qundo si tratta di una vedova. Es.: Vualdrada relicta qui fuit quondam Bonitoni iudicis et filia bone memorie Vuidi (Nannipieri, I più antichi documenti, cit., doc. 1078 agosto 22); Bona relicta quondam Alferii et filia quondam Bernardi (Viviani, Le pergamene, cit., doc. 1138 agosto 18).

(21) Nannipieri, I più antichi documenti, cit., doc. 1056 marzo 31.

(22) Ivi, docc. 1039 settembre 30 e 1057 giugno 20.

(23) Ad eccezione dell'ultima scansione cronologica che, per i motivi di cui a nota 30, copre solamente il periodo compreso dal 1200 al 1213.

(24) Si è inserito in questa categoria anche un tipo di denominazione che, a rigor di regola, sarebbe stata da collocare nella classe II: si tratta di individui in cui l'indicazione di paternità, che segue il nome proprio, è della forma III. Esempi: Ildebrandus iurisperitus quondam Boni de Mercato, Stefani quondam Ughiccionis Masche, Rainerius quondam item Rainerii Turchii. Il soggetto, in teoria, viene identificato tramite il riferimento al padre (quindi in forma II), ma quest'ultimo mostra già di possedere una sorta di cognomen o di patronimico. Non si deve dimenticare che il riferimento familiare è considerato necessario, quasi indispensabile, dal notaio redattore e che quindi tra noi e il sistema realmente usato dagli uomini del medioevo per denominare i propri simili vi è sempre il filtro del notaio e delle sue regole. I casi presentati sono inoltre indicativi perché presentano personaggi appartenenti a famiglie conosciute dagli studiosi di storia pisana, nelle quali la cognominazione si afferma relativamente prima che in altre: i De Mercato, i Masca, i Del Turco (si veda E. Cristiani, Nobiltà e popolo nel Comune di Pisa dalle origini del Podestariato alla Signoria dei Donoratico, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1962, pp. 380-383, 419).

(25) E. Cristiani, Osservazioni alla Raccolta di scelti diplomi pisani di Flaminio Dal Borgo, in "Bollettino Storico Pisano", XXI-XXI (1951-1952), p. 77.

(26) Tra i quali soprattutto nepos, germanus, pupillus, consubrinus.

(27) Si veda la nota 14 e il testo corrispondente.

(28) Così si esprime Pierre Toubert sul valore del soprannome "In origine era puramente individuale, alla stessa stregua del nome di persona. La sua funzione principale sul piano pratico era quella di rimediare alla povertà crescente del repertorio antroponimico, agevolando l'identificazione dell'individuo all'interno del gruppo degli omonimi" (P. Toubert, Dal nome di persona al nome di famiglia, in I vincoli familiari in Italia, a cura di A. Manoukian, Bologna, Il Mulino, 1983, p. 74).

(29) Impasse dovuta al fatto che per questo lavoro si è operato sull'edito e che il periodo cronologico coperto dalle edizioni dei documenti dell'Archivio di Stato (nota 2) ha riguardato gli atti fino al 1213. Mi riprometto, in un secondo tempo, di completare la schedatura con lo spoglio delle pergamene inedite.

(30) Cristiani, Nobiltà e popolo, cit., p. 163: "E' frequentissimo il caso di famiglie immigrate nel secolo XII che continuano a denominarsi dalla originaria località del contado anche dopo essere venute in città da parecchi decenni".

(31) Martinus a la Barba vocatur è del 1110 luglio 16 (Guastini, Le pergamene, cit.); nel 1146 settembre 24 è attestato Marignanus quondam Martini a la Barba (Caroti, Le pergamene, cit.) e nel 1164 gennaio 20 Bonaccorso quondam Marignani de Barba (Giusti, Le pergamene, cit.).

(32) Nel 1152 Ugo Familiatus è publicus divisor (Caroti, Le pergamene, cit., 1152 novembre 18) e nel 1175 legisperitus (Benedetti, Le pergamene, cit., 1175 aprile 1), due anni dopo suo figlio è detto anch'egli Familiatus ed è un roncinator del Comune (ivi, 1177 novembre 12); nel 1174 Ildebrando iurisperito è detto figlio del fu Bono de Mercato (Carmignani, Le pergamene, cit., 1174 novembre 25) e nel 1186 viene semplicemente denominato Ildebrandus de Mercato vir prudens (Blanda, Le pergamene, 1186 dicembre 29).

(33) Caroti, Le pergamene, cit., doc. 1147 dicembre 5.

(34) Ivi, doc. 1154 gennaio 12.

(35) Giusti, Le pergamene, cit., doc. 1164 ottobre 24.

(36) Tamburini, Le pergamene, cit. doc. 1185 maggio 30.

(37) Nardi, Le pergamene, cit. docc. 1124 luglio 8, 1128 febbraio 23, 1129 dicembre 19; Viviani, Le pergamene, cit. docc. 1130 agosto 3, 1135 marzo 14 e 1143.

(38) Caroti, Le pergamene, cit., doc. 1153 agosto 6. I figli di Leone sono Bacarello e Benenato, il quale ha un figlio di nome Pietro.

(39) Come ad esempio Gerardus Crociulus filius Massulini Caradonne (Giusti, Le pergamene, cit. doc. 1164 gennaio 20) o Ugo Buccha dictus filius quondam Rainerii Bonacci (Carmignani, Le pergamene, cit., doc. 1174 settembre 4).

(40) Solo le analisi prosopografiche possono precisare meglio i meccanismi che regolano la trasmissione del nome di famiglia, ma queste riguardano in genere gruppi familiari nobili o in ogni caso appartenenti ai ceti socialmente eminenti, per cui in genere nulla dicono sulla diffusione del cognome negli altri ambiti sociali.

(41) Rispettivamente in De Paola, Le pergamene, cit., docc. 1200 ottobre 15, 1200 luglio 12 e Tamburini, Le pergamene, cit. doc. 1185 maggio 30.

(42) Si veda la nota 29.

(43) Si veda la nota 3. Gli altri quattro gruppi, riguardano i rappresentanti del governo comunale, i mercatores pisani, i capitanei ecclesiarum e i maggiorenti cittadini.

(44) Per il significato e i limiti di questo documento si veda Salvatori, La popolazione pisana, cit.

(45) Si veda la nota 4.

(46) Partecipano al consiglio generale più di 80 cittadini per quartiere. Si deve però supporre che questo incarico fosse assegnato normalmente a persone che in certo qual modo si distinguevano socialmente ed economicamente.

(47) Come si vede dal grafico 8, le forme complesse di tipo IV, per quanto scarsamente attestate, presentano tuttavia una discreta varietà e generalmente riguardano membri dell'artistocrazia: IVaa (Buonacorsus Arrigi de Cane, Lanbertus Inique de Lanfrancho, Ritornatus Lanfracci Bordonis); IVcb (dominus Gherardus Fuccius Vicecomes; IVac (Ildibrandus Rogna de Gualandis); IVad (Albertus Vernaccii de Bagno). Domina su tutte la forma IVaa, il che riconferma la prevalenza dei nomina paterna sulle altre forme antroponimiche.

(48) Le forme I e II riguardano globalmente più del 59% dei giurati.

(49) Entrambi consiglieri nel 1256 (Documenti, cit., pp. 205-206); il primo è probabilmente figlio di un personaggio presente nel giuramento del 1228, nel gruppo dei maiores: Ugolinus Contelde. Nel 1228 tra i giurati che presentano un doppio patronimico si trovano ad esempio: Arrighectus Ranerii Marzi, probabile figlio del giudice Ranieri Marzi, anch'egli giurato in qualità di assessor comunis; Uberetus Petri Mingarde iudex, figlio di un Pietro Mingarde, attestato nel 1239 come giudice della curia foretaneorum (Salvatori, La popolazione pisana, cit.).

(50) Ivi, p. 205. Cicogninus può essere un soprannome dato a Iohannes per distinguerlo da un suo omonimo, anch'egli consigliere: Iohannes Alberti de Balneo (ivi).

(51) Ad esempio appartengono alla famiglia Baldovinaschi Bulliafava quondam Bernardi Bulliafave, Albertus q. Rodulfi, Gaitanus quondam Ugonis Tinche (Cristiani, Nobiltà e Popolo, cit., p. 373). Può inoltre capitare che un medesimo personaggio presenti forme antroponimiche diverse: Saraceno, figlio di Albizo Caldere, è talvolta nominato con accanto il "cognome" Caldere, talaltra con il patronimico Albithonis; la medesima cosa accade per suo figlio Andreotto, il quale, tra la fine del XIII e l'inizio del secolo seguente, viene detto sia Adreottus Saraceni sia Andreottus Caldere (ivi, p. 376).

(52) A questo proposto può essere utile notare come, nel 1228, nel gruppo dei maiores - ovvero, probabilmente, dei rappresentanti del governo comunale - tutti i giurati presentino una sorta di cognome. Non vale però il discorso inverso: non tutti i "nobili" presentano forme cognominali, come attestano i vari dominus Petricciolus e dominus Guinzichese miles.

(53) Toubert, Dal nome di persona, cit., p. 75.

(54) Con il giuramento del 1228 sono stati confrontati i dati della fine del secolo XII e non quelli dell'inizio del XIII perché i primi forniscono migliori garanzie di attendibilità (si veda la nota 29).

(55) Si tratta di professioni vere e proprie e non di forme cognominali che derivano da attività lavorative.